Ed ecco che a rimetterci sono gli obiettivi, i temi, gli ideali, i problemi da risolvere, i territori da tutelare.
Ecco che a vincere sono i giochi di forza, i compromessi, le strategie nate per fregare l’altro, ridimensionarlo, isolarlo. “Funziona così” direbbero i “cagnacci della politica”. Perché è così che sono abituati pensare. A farsi le scarpe.
La campagna referendaria di Possibile ne è dimostrazione. I quesiti referendari avrebbero dovuto fare da collante per la creazione di un nuovo soggetto. Nuovo e lontano dalle logiche personalistiche e da stantie strategie di lotta per la leadership. I temi (i comuni obiettivi) avrebbero dovuto prevalere sugli interessi personali. Sulle logiche di potere che hanno portano molti ad abbandonare i partiti di appartenenza o a fare battaglie di merito su lavoro, legge elettorale, scuola, ambiente…
E invece no. Si è persa l’occasione (giusta) per promuovere una mobilitazione generale da catalizzare e valorizzare tramite l’unico strumento di democrazia diretta a disposizione dei cittadini per dire la loro dopo anni di governi passati di man in mano, ma non da nuove elezioni.
Raggiungere le 500.000 mila firme sarebbe stata la vittoria di tutti. Degli ex Pd, di Sel, dei altri partiti di sinistra, dei sindacati, di associazione e comitati che quei temi li condividono, di tutti quei cittadini che sono andati a firmare indipendentemente dalla tessera in tasca e nonostante la sordina messa dalla stampa sulla campagna referendaria (tanto da rendersi necessaria una lettera all’Agcom per avere un minimo di copertura).
Ma la verità è che in troppi hanno preferito non esserci, in questa sfida. Non metterci la faccia, il proprio simbolo o logo. Per “paternità referendaria”? Per ridimensionare la figura di Civati? Perché in molte città le amministrative sono vicine ed è già tempo di accordi? Per “non disturbare il manovratore” (Renzi) come ha scritto Gilioli in un suo articolo?
Su questi interrogativi, ognuno si farà la propria di opinione. Il punto è che ancora una volta la politica è stata utilizzata come fine (personale) e non come mezzo per il raggiungimento degli obiettivi dichiarati come “comuni” e, proprio per questo, super-partes. Peccato.